N E L L A M I A S E L V A O S C U R A
Daniela Fontanesi
a cura di StudioDieci
25 marzo | 18 aprile 2021
Evento realizzato in occasione della celebrazione della giornata dantesca | 25 marzo 2021
È concessa la luce, ma non l’oscurità. Le nuove disposizioni mi impongono un divieto, non posso addentrarmi ad attraversare la notte come un’anima prava eppure, nell’osservare la nuova produzione di Daniela Fontanesi, esposta nelle vetrine del centro culturale vercellese StudioDieci, mi rendo conto che le tenebre non hanno bisogno del buio, o meglio, hanno trovato il modo di estendere le proprie radici oltre il sorgere dell’alba e venirmi incontro. Tra i riflessi di quei vetri, scorgo ombre che custodiscono racconti e incubi, amori e “arrivederci”.
Chiedo ad Arte di assistermi in questo peregrinare tra i vuoti che, troppo volte, hanno preferito essere “a perdere” e che, invece, in questo momento storico, avrebbero il piacere di divenire “vuoti da riempire”. Non sempre è troppo tardi, anzi, spesso è proprio la Cultura a offrire questa possibilità, quasi fosse un alternativo Caronte che traghetta le anime da una costa all’altra delle epoche, navigando a filo di quelle acque che le scelte degli esseri umani rendono spesso troppo scure.
Una volta non ci si poteva avvicinare alle opere d’arte per il pericolo di danneggiarle, ma ora, dove è vietato avvicinarsi a qualsiasi cosa, sopratutto alle persone, poter osservare l’opera di Fontanesi, anche se “in sicurezza”, ovvero “a distanza”, mi rincuora e, anche se solo per un’attimo, ho la sensazione che passi più ossigeno attraverso la mia mascherina, oltre quel secondo filtro tra me, il mondo che mi circonda e la mia stessa vita.
“Un tempo, se ben ricordo, la mia vita era un festino, in cui si aprivano tutti i cuori, tutti i vini scorrevano.
Una sera, ho fatto sedere la Bellezza sulle mie ginocchia. – E l’ho trovata amara. – E l’ho ingiuriata.” ( Arthur Rimbaud, Una stagione All’inferno, Feltrinelli, Milano, 2004. Pag. 201)
Con queste parole si apre uno dei testi più rappresentativi di Arthur Rimbaud: Una stagione all’inferno. Se è vero che tutta l’arte è stata contemporanea, perché indissolubilmente legata al proprio tempo che, prima di divenire “passato” è stato dapprima “presente”; è anche vero che, alcune produzioni, riescono a eludere lo scorrere del tempo riadattandosi, apparendo sempre attuali, o forse, addirittura profetiche.
Così mi aggrappo invano a quelle vetrine, nella speranza di trovarvi un appiglio. Sento il bisogno di una certezza in questo continuo sgretolarsi di un Tutto ormai annullato. Tra me e l’arte: un vetro. Così mi aggrappo a questo limite che riflette anche la mia immagine e mi propone una strana sintesi tra la mia sembianza esterna e l’allestimento schierato che mostra quello che ho dentro.
Torno a ritroso in questo testo sconclusionato. Torno a ricucire quei pensieri che, fino ad ora potevano risultare sparsi e che Arte, attraverso l’opera di Fontanesi, mi ha permesso di riordinare e comprendere. È concessa la luce, ma non l’oscurità perché ci sono limitazioni che mi impediscono di vivere la mia amata notte; nella prima sovrapposizione/vetrina mi viene offerta l’oscurità interiore. Alberi neri che sul mio petto paiono il sistema cardiovascolare, in grado di pompare la vita nel mio corpo, così come la natura trasmette vita al mondo. Non mi è dato sapere quali misteri avvengano nell’oscurità del sottosuolo o dentro la mia gabbia toracica, NELLA MIA SELVA OSCURA di dantesca memoria. Arte è venuta in mio soccorso, ancora una volta, è il Virgilio che mi accompagna nel mio peregrinare tra i gironi esistenziali, più che infernali. Non vi sono peccati, ma l’amore per la vita e la Cultura che esige libertà d’espressione per meglio documentare lo sviluppo di quell’arazzo in divenire che è il Contemporaneo, perché anche la Bellezza sa essere amara. La seconda sovrapposizione/vetrina è un cuore pulsante che mi indica che sono sulla buona strada. Il cuore è vivo e pulsa, vi è vita in tutta questa oscurità e nuovi equilibri vengono riflessi su candide carte sospese a mezz’aria: pagine che attendono di essere disegnate, pagine che sono storie da scoprire, pagine che sono Natura in evoluzione. Le opere vitree di questa raffinata artista vercellese vanno man mano schiarendosi, ma se in prossimità di un cuore vi è un polmone che lo sta ossigenando, nella terza sovrapposizione/vetrina suol mio petto compare uno squarcio. Un buco. È un diradarsi dell’oscurità? Un monito o un Memento Mori? Luce e ombra coesistono in questa esposizione, ma la trasparenza delle opere mi mostra una sottile precisazione, non delle comuni ombre, il corpo della materia non è opaco e ciò che portano sul piano non sono ombre solide e circoscritte, ma trasparenti e volubili: ombre della luce. NELLA MIA SELVA OSCURA è dunque un’articolata bilancia che mi sta invitando a scrutare tra quegli infiniti riflessi, affinché io possa soppesare parti del mio essere e di ciò che mi circonda. La natura è un pretesto, ma è anche la via maestra che mi insegna a morire e a rinascere, per morire ancora, ovvero a mutare e divenire altro, sconosciuto e impensabile; perché Natura assorbe dall’esterno e dona dall’interno, non trattiene, rielabora e lascia andare.
Se nel XXVIII canto della Divina Commedia Dante utilizzò il nome della città di Vercelli per indicare “lo dolce piano”, quella splendida pianura che fino a Marcabò (Ferrara) digrada e Arte è il Virgilio contemporaneo, esattamente come ne La Commedia, a lei è concesso accompagnarmi fino all’uscita del Purgatorio. Chi mi prenderà per mano per illustrarmi il Paradiso? Chi sarà la mia Beatrice?
Non dispero perché la risposta è proprio davanti ai miei occhi, nelle opere di Fontanesi, perché, in questa mostra, ha scelto di nascondersi nella luce, nei riflessi, nella sensibilità e in tutto quello che sull’altro piatto della mia bilancia mi permette l’equilibrio.
Dentro la mia selva oscura: vi è Bellezza.
Diego Pasqualin per StudioDieci