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“[…] la nostra conoscenza del microcosmo – cioè del corpo umano – ci rivela la struttura dell’universo e ci guida verso il nostro Creatore; così, più noi sappiamo dell’universo, più impariamo su noi stessi”.
(Mircea Eliade, Il mito dell’alchimia)

Attraversare il buio per comprendere la luce, per dare un senso alla luce e percepirne le innumerevoli variazioni. ESERCITAZIONI PER UN ALTRO VEDERE di Erica TAMBORINI ci permette, attraverso l’utilizzo di radiografie, riconducibili in qualche modo a Madame Curie, e ai negativi fotografici, richiamanti latamente il sand-casting di Costantino Nivola, di delineare una paradossale autobiografia per immagini in cui, alchemicamente, tutto subisce una mutazione trasfigurante e una paradossale migrazione percettiva. Il senso di ciò, non senza sensualità sadiana, parrebbe suscitare una rappresentazione simbolica che può essere anche altro; altro rispetto all’apparenza visibile che si va manifestando. L’intenzione progettuale e lo slancio emozionale dell’artista si fondono in una sorta di emblematica narrazione lirica. Ma una narrazione lirica entro cui sembra affiorare pallidamente il lume vibrante di un sussulto, quasi di una elegiaca nostalgia per i segreti della vita testé violati e resi visibili. L’agrodolce di un sommesso memento mori non fa in tempo a manifestarsi che viene debellato dal sorriso vuoto dei santoni mongoli che, vaticinando, fanno danzare le ossa umane.
Questa giovane artista svolge da tempo una ricerca che coniuga scultura a installazione e a performance forse con l’intento di restituirci, caso per caso, qualcosa di sé e al tempo stesso per rendere manifesta la magica poesia dell’arte che riesce a far diventare visibile e perciò descrivibile l’indicibile.
In questo Erica Tamborini può dirsi una delle figure emergenti a livello internazionale della nuova generazione degli artisti contemporanei under30.

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Diego PASQUALIN per STUDIODIECI

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foto di Alessia TRIPODI per Studiodieci